Mio nonno paterno, che non ho avuto il piacere di conoscere di persona, si chiamava Giovanni Iannelli (vedi AG4, foto1, foto1bis e Allegato1).
Era nato il 3/5/1884 a Morcone (M01, M02, M03, M04, M05, M06, M07, M08), un piacevole paesino montano dell’Appennino sannitico in provincia di Benevento in Italia, dove morì a 54 anni, il 24/11/1938, per le conseguenze dell’amputazione di una gamba, resa necessaria per una gangrena da arteriopatia arteriosclerotica, forse complicata da una setticemia.
Durante la sua vita visse una, a me pare, fantastica avventura: nel 1909 circa emigrò negli USA dove rimase fino al 1913 circa, epoca in cui dovette fare ritorno in Italia a causa di una grave malattia della sua cara madre Maria Cristina Rucci.
Giovanni era il secondogenito, primo dei maschi, di Raffaele Arcangelo, detto Raffaelone, nato a Morcone il 30/10/1854, quasi 100 anni prima di me, e deceduto a Napoli il 20/09/1907, il quale ebbe da Cristina 10 figli, come era frequentissimo nelle famiglie italiane dell’epoca (AG 2).
Raffaele Arcangelo gestiva una osteria, l’equivalente del nostro bar, simile spesso più al Pub anglosassone, dove i paesani si riunivano a bere e mangiare ma soprattutto ad incontrare gli altri componenti maschi della comunità. Egli discendeva da una famiglia di Morconesi (AG1) i cui antenati sono identificabili nei registri parrocchiali e comunali fino a Francesco nato nel 1700 circa.
L’attività lavorativa prevalente della sua famiglia era l’artigianato: calzolaio suo nonno Bernardino, fabbro ferraio il padre Tommaso, falegnami i suoi fratelli Stanislao e Bernardino, come del resto egli stesso in gioventù e alcuni dei suoi figli, in particolare il primogenito maschio “Giovannino”, almeno in gioventù, ma anche i fratelli più piccoli “Nicolino e Tommasino” come amava chiamarli la madre Cristina. A cavallo del 1900 Tommaso, padre di Raffaele Arcangelo, abitava al n° 5 del vico 2° di via San Lorenzo (o Lauro) a Morcone insieme ai tre figli e alla famiglia di Raffaelone, la moglie e i 10 figli; non ho mai visto quella casa (situata forse nei pressi della attuale chiesa di San Lorenzo, se ancora la casa esiste!) e non so attribuire a questa coabitazione un preciso significato (condizione economica? Forte legame familiare?).
Tornando a Raffaele Arcangelo, egli nel 1907, in occasione di un viaggio a Napoli, per piacere o per il suo lavoro di ristoratore non si sa con precisione, cadde procurandosi una frattura alla gamba destra che rapidamente lo portò al decesso; per la difficoltà nei trasporti e/o come si può supporre per difficoltà economiche, egli fu tumulato a Napoli grazie all’intervento di un amico compaesano, Francesco Nazzaro, albergatore a Napoli. Il nipote Giovanni Domenico, l’indimenticabile zio Mimì figlio di mio nonno Giovanni (AG4 e Allegato1), fonte principale di queste ed altre notizie relative alla nostra famiglia, riuscì nel 1963 a ritrovare il loculo al cimitero di Capodichino e a trasferire le spoglie a Morcone, dove furono deposte nella cappella di famiglia fatta costruire da Mimì e dai suoi fratelli Raffaele, mio padre, ed Ennio (Allegato2 e 2bis). Mi piace ricordare che Mimì, commerciante gestore di un poliedrico negozio di generi alimentari, abbia proseguito l’attività nel settore della ristorazione praticata da suo nonno così come da suo padre, altrettanto poliedrico, al suo ritorno dall’avventura americana.
Il decesso di Raffaele Arcangelo, improvviso e traumatico, determinò un rapido deterioramento delle condizioni economiche della famiglia, non so quanto floride in precedenza, gravate da debiti contratti con paesani di cui ho documentazione relativa ai primi del ‘900, fornitami dallo zio Mimì.
Il contesto economico italiano di quegli anni e le particolari condizioni economiche della famiglia suggerirono al valente artigiano Giovanni di cercare fortuna negli USA. Di mio nonno ho potuto ammirare personalmente alcuni mobili su misura di buona fattura ancora esistenti nella casa di famiglia nella via del Corso n° 96 a Morcone, residenza di mia cugina Albina, figlia di Mimì e della solare zia Lina della quale conservo il vivo ricordo della sua bontà e affetto sincero e profondo per me e per la mia famiglia.
Come è noto, in quell’epoca si verificò quella che viene definita in Italia “la grande emigrazione” che portò fuori dal nostro paese, specie verso l’America, oltre 20 milioni di cittadini tra il 1870 e il 1915, anno dell’inizio della Prima Guerra Mondiale che interruppe momentaneamente il fenomeno.
Dell’avventura di “Giovannino” è rimasta traccia in poche lettere di corrispondenza scambiate con la madre Cristina. La loro lettura è impegnativa per la grafia e per l’uso di un italiano un po’ desueto (come esempio vedi Allegati 3–4–5–6–7–8–9) e la loro trascrizione sarà un mio futuro ma non troppo prossimo impegno. Sicuramente è emozionante poter leggere, quasi con il timore di violare la loro privacy, questi preziosi documenti così lontani nel tempo ma così attuali e vitali; mi rasserena sapere che le lettere di Giovanni erano indirizzate al parroco, meno parente di me, loro protettore e amico di famiglia, che le avrebbe poi lette alla madre verosimilmente ana o semilfabeta come del resto il 90% degli italiani del mezzogiorno dell’epoca; interessante lo stile di Giovanni molto pragmatico, essenziale ma che non rinuncia a chiare espressioni dei suoi sentimenti descritti con grande franchezza. L’impatto emotivo determinato da queste pagine è stato per me molto forte e mi colpisce profondamente l’affetto e lo spirito forte di quest’uomo che si fa completamente carico delle esigenze della famiglia di cui sente la piena responsabilità economica e morale. La prematura morte della cara madre lo induce, come detto, a rientrare in Italia per prendere le redini del capofamiglia non senza, nel frattempo, essere riuscito a risanare pressoché completamente la situazione economica della famiglia, estinguendo la maggior parte dei debiti con continue rimesse di denaro dagli Stati Uniti.
Ma Giovanni, stabilitosi a Boston come apprezzato falegname in una grossa azienda, ha posto anche le basi per il trasferimento graduale di altri 6 tra fratelli e sorelle, che hanno dato origine ad una numerosa discendenza diffusa in vari stati degli USA (AG3, AG5, AG6, AG7, AG9 e AG11 e AG11bis). Dopo decenni di sostanziale perdita dei contatti tra i discendenti di Giovanni (AG4) e delle due sorelle Maria “Cioccia” (AG8) e Pellegrina “D’Adona”(AG10) rimaste a Morcone, sicuramente favorita dalla sua prematura scomparsa e dalla successiva Seconda Guerra Mondiale, i rapporti sono lentamente ripresi sia grazie a non ben documentati incontri tra Maria Iannelli Cioccia (AG8) e Immacolata Iannelli Rosato (AG11 e AG11bis) stabilitasi nel Connecticut, sia per il viaggio in Italia di Domenico, Dominic (AG7), che in tarda età, a cavallo degli anni ’80, volle tornare a rivedere il suo paese natale, accompagnato dalle affezionate nipoti Deborah e Stephanie, figlie di sua figlia Marie con le quali abbiamo mantenuto, soprattutto Mimì e suo figlio Giovanni, periodici rapporti. In quell’occasione mio padre e i suoi fratelli lo incontrarono e in seguito Mimì per due volte visitò negli USA molti dei nostri parenti, i quali risiedono prevalentemente a Boston.
Negli anni 2000 alcuni dei nostri cugini, in particolare Ralph “Buddy”, figlio di Ralph di Dominic, con la moglie Gina e le figlie Tanya e Tara, suo fratello John, sua sorella Joanne, le cugine Deborah e Anne Marie figlia di Eduard, figlio di Dominic, hanno, anche più volte, visitato l’Italia; Nel settembre del 2009 Steven, figlio del già ricordato John, e la moglie Jenna vennero in viaggio di nozze in Italia, naturalmente con tappe a Roma e Morcone; anche Mark figlio di Robert, il fratello di Deborah e Stephanie, ha visitato l’Italia alcuni anni fa; nel 2005, durante il breve soggiorno a Roma di Buddy e della sua famiglia anche io, mia moglie Maria Luisa e i miei figli Andrea ed Alberto abbiamo fatto la loro conoscenza e soprattutto nel 2007 io e i miei fratelli Giovanni e Giacomo, così come nostra madre Bastiana, abbiamo avuto il piacere di avere Buddy, Joanne e Deborah per qualche giorno ospiti in Sardegna, dove viviamo (Allegato10). Inoltre Giovanni, figlio di  Mimì, insieme alla moglie Elisabetta, ha visitato i parenti americani nel 2003, a Boston per il matrimonio di Andrea anch’essa figlia di John, e nel 2006 ad Orlando, ospite di Deborah.
Molte notizie relative ai diversi rami della famiglia derivano dalla stesura dell’albero genealogico redatto per la tesi di laurea dalla cugina Marjorie nipote di Tommaso (AG5). Per i dati relativi ai nostri avi Marjorie si rivolse all’onnipresente Mimì che fece le prime ricerche negli archivi parrocchiali, trasmesse poi alla nipote; probabilmente per problemi legati alla comprensione degli appunti scritti in Italiano, alcune informazioni non sono state correttamente interpretate e sono state da me corrette nella redazione del nostro albero genealogico qui in parte allegata, aggiornata, rispetto alla già poderosa versione originale, in base ad informazioni fornite dai vari parenti italiani e americani con i quali ho contatti epistolari e soprattutto tramite internet (Allegato11).
Tornando a mio nonno Giovanni, dopo il suo rientro in Italia egli ha mostrato la sua versatilità nel proseguire fondamentalmente l’attività del padre come ristoratore; in questo egli fu, dopo alcuni anni, coadiuvato dalla moglie Linda di Mella (AG4bis e foto2), tra l’altro abile cuoca di cui ricordo le saporite pizze rustiche che quasi novantenne continuava a preparare per noi quando andavamo a trovarla a Roma, dove ha vissuto per decenni insieme allo zio Ennio, ai miei cugini Alma e Giovanni e alla indimenticabile zia Grazia, mancata troppo presto al nostro affetto; alla iniziale attività di ristorazione il nonno affiancò in seguito la vendita di generi alimentari; inoltre egli si specializzò, particolarmente predisposto alla pratica di numerose attività manuali, nella produzione del vino, sua grande passione, come testimoniano le cantine della sua casa e come ricorda anche la zia Lida, nipote di nonna Linda (AG4bis) che in gioventù frequentò assiduamente la sua casa. Tali attività furono, in seguito al suo decesso, continuate dal figlio Mimì. Chissà se le passioni del nonno Giovanni hanno favorito anche le scelte del figlio maggiore Raffaele laureatosi in Scienze Agrarie a Portici (Na) e del figlio minore Ennio laureatosi in Giurisprudenza e in Scienze politiche a Napoli.
Ma questa è un’altra storia.
Cagliari 10.12.2013
Pietro Iannelli